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Marchionni: "Del Piero e il Bernabeu, che emozione. Nesta elegante, a Firenze..." ESCLUSIVA

03/01/2022

di Claudio Ruggieri

L'ex giocatore di Parma, Juventus, Fiorentina, oggi vice allenatore della Carrarese, in esclusiva a Calcio Totale, ha raccontato la sua carriera, dal Parma delle "sette sorelle" alla rinascita della Juventus. E Firenze...

Può fare di più, una frase ricorrente per tutti gli studenti bravi che non si applicano. In questo caso è la frase più adatta per riassumere la carriera di Marco Marchionni, ex giocatore di Empoli, Parma, Juventus, Fiorentina, che ha vestito la maglia della Nazionale italiana. A confermarlo è proprio il diretto interessato in esclusiva a Calcio Totale.

Marchionni vice allenatore della Carrarese di Silvio Baldini. E' un caso?

"Assolutamente no, è un allenatore che mi ha dato tanto anche a livello umano. Una persona fin troppo genuina. Crede tanto in quello che fa e ha una passione incredibile. A volte nel calcio bisogna non dire la propria, a lui proprio non riesce. Forse per questo ha perso il treno di una big. Però è giusto così perché devi avere anche il coraggio di esternare le tue idee. Prima era più istintivo, era un vulcano. Adesso è più riflessivo e ha capito i momenti in cui farlo, ecco".

Baldini che ad Empoli decise di cambiarti posizione...

"Sono arrivato a Empoli da ragazzo, ero in Primavera. Poi, il nostro capitano Daniele Baldini consigliò al mister di portarmi in prima squadra. Ebbe il coraggio di farlo perché c’erano due ragazzi che nel ruolo di esterno non stavano facendo bene. Lui mi disse: ‘Basta che mi dai retta e andrà tutto bene’. Iniziai a fare il quinto nel 3-5-2, davanti c’erano Saudati e Cappellini. L’anno seguente andò via Saudati e venne Maccarone. Veniva dalla primavera del Milan, aveva giocato a Prato. Baldini cambiò modulò, passò al 4-2-3-1 e divenne la sua fortuna e anche degli allenatori che poi lo imitarono. Riuscì a far coesistere tutti: me, Di Natale, Maccarone e Bresciano. Era una squadra che divertiva e sapeva divertirsi".

Empoli trampolino di lancio che ti ha portato a Parma. Cosa ricordi dell'avventura con la maglia ducale?

"Sette anni importanti, i primi cinque e poi i due successivi. La prima avventura è stata speciale perché arrivavo al Parma che era considerata la "settima sorella", quindi una grande del calcio. C’era gente importante: Di Vaio, Milosevic, Cannavaro, Sensini, Micoud, Almeyda, Frey. Mi hanno accolto subito bene, mi hanno aiutato e stimolato per dare qualcosa più. A Parma feci il mio debutto in Serie A all'Olimpico, c'era la mia famiglia allo stadio, coronavo il sogno di giocare la prima nella mia città".

Ritorni a Parma con Prandelli in panchina...

"L’anno che arrivammo quinti avevamo Morfeo e Gila davanti. Domenico aveva una visione di gioco fuori dal comune e Alberto lo sfruttava per fare gol in ogni modo".

A Parma hai avuto modo di giocare anche con Adriano. Cosa ci puoi dire dell'ex Imperatore?

"Voi avete visto solo il 40% della forza di quel ragazzo, io in allenamento lo vedevo sempre. Impressionante, una forza della natura. Ricordo un match contro la Lazio, Stam marcava Adriano, in un contrasto l'olandese rimbalzò. Peccato non abbia sfruttato a dovere il suo enorme talento, non lo giustifico perché quando ricevi un dono così grande devi fare di tutto per andare avanti. Potrei dire la stessa cosa di Cassano, un talento incredibile".

Marchionni e la Juventus, ad un tratto ti sei ritrovato in Serie B. Cosa hai pensato?

"Il destino ha voluto che scegliessi la squadra più forte d’Europa alla firma del contratto e poi mi sono ritrovato in Serie B. Ero orgoglioso perché la Juve aveva scelto Marchionni, per me è stato comunque importante aiutarla a ritornare in Serie A. Anche questa è storia".

Buffon, Del Piero, Trezeguet, Nedved, Camoranesi. Ti sei ritrovato con tre Campioni del Mondo ed altri importanti giocatori...

"La prima cosa che noti è che con certa gente hai maggiori possibilità di crescere e migliorare. Ogni giorno capisci cosa significa dare tutto te stesso. Giocando con Nedved apprezzi realmente cos’è il sacrificio. Poi c’era Camoranesi che non aveva lo stesso spirito di Pavel, ma quando aveva voglia ti risolveva le partite da solo. A Buffon e Trezeguet non importava il campionato, giocavano in B con la stessa concentrazione. A Gigi importava fare le cose bene e a David fare sempre gol. Stessa cosa per Del Piero, si allenava alle 8 del mattino per mantenere sempre il suo standard da numero 1. E’ in quei momenti che capisci l’importanza di avere un campione vicino".

5 novembre 2008, la Juventus sbanca il Bernabeu anche con un tuo assist a Del Piero. Che emozioni hai provato in quel momento?

"Alla fine si ricordano tutti quella partita. Una delle gare più belle, ma è figlia della vittoria sempre col Real a Torino. Non venivamo da un momento bello e quel 2-1 in casa ci diede una scossa per giocarcela anche a Madrid. Quella era una Juve non piena di campioni come le precedenti, ma riuscimmo a fare una grande impresa con la doppietta di Alex. Del Piero si prese sulle spalle la squadra e poi la standing ovation del Bernabeu fu il giusto tributo alla grandezza del giocatore. Diciamo che non capita spesso di vedere una scena del genere. Un'emozione incredibile".

Prima di tornare a Parma, altra grande tappa a Firenze. Cosa ti porti dentro al cuore di quell'esperienza?

"E’ stata un’esperienza incredibile. Mi rimane dentro quella grande cavalcata in Champions. Ho visto una passione in città che raramente si trova in altri posti. Resta una delle pagine più belle della mia vita. C’era Prandelli in panchina, un maestro, ci faceva giocare a memoria. C'erano campioni come Mutu, Jovetic, Gila, Vargas, Frey, Montolivo, C. Zanetti. Insomma era una squadra veramente forte. Lo dico sempre, ci siamo divertiti perché ci vedevamo anche fuori e quando ci sono queste cose si riflettono in campo. Dopo la sconfitta col Bayern abbiamo un po’ mollato mentalmente. C’è stato l’errore dell’arbitro ma noi abbiamo avuto le nostre chance per passare il turno e non siamo stati bravi a concretizzare le occasioni da gol. Dopo il 3 a 1 non siamo stati bravi a chiuderla".

Hai sfornato assist a diversi attaccanti, con chi ti trovavi meglio in campo?

"Con Gila c’era un feeling particolare, ma anche con Amauri, Corradi e Maccarone. In generale avevo un buon feeling con quei giocatori che facevano gol. Grazie a loro sono riuscito a fare un bel po’ di assist ed era la cosa che amavo di più. Lo preferivo al gol perché mettevo sempre al primo posto la squadra".

Estate 2006, l'Italia diventa Campione del Mondo. Eri nel gruppo dei 27, chissà il dispiacere...

"Eravamo in 27 e quattro erano di troppo. Lippi fu molto onesto, io arrivai come riserva e sapevo che sarei andato solo in caso di infortunio di un mio compagno. Non sono dispiaciuto, io venivo da 8 mesi di infortunio e prima non ero mai stato in Nazionale con Lippi. Ero già orgoglioso di aver centrato quel traguardo. Sapevamo che sarebbero andati 23 giocatori".

Nella tua carriera hai giocato con grandi calciatori. Chi è stato il più forte secondo te?

"E' vero, ho giocato con grandi campioni, peccato non aver avuto Totti come compagno di squadra. Con tutto il rispetto per Del Piero, scelgo Totò Di Natale. Tecnicamente il più forte, faceva delle cose in maniera naturale".

E l'avversario più ostico?

"Sandro Nesta, senza dubbio. Uno dei difensori più forti di sempre. Aveva un’eleganza, un’intelligenza che in pochissimi avevano ed era tra i migliori al mondo in quel periodo".

Se ti voltassi indietro, quale sarebbe il più grande rimpianto sportivo?

"Non aver dato di più. Quando sei in attività non te ne rendi conto, adesso ti dico che Marchionni avrebbe potuto fare di più. Ma resta una mia sensazione, una mia analisi, poi si può non essere d’accordo".

di Claudio Ruggieri

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